Regàlia e la legge del dolore
Pubblicato in: Leonardo, anno I, fasc. 11, pp. 18-19
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Data: 20 dicembre 1903
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ETTORE REGALIA appartiene a una classe di uomini che si va facendo sempre più rara: è un modesto. Per quanto egli sia il primo osteologo d'Italia, per quanto abbia fatto delle scoperte di paleontologia, paletnologia e anatomia comparata, per quanto sia forse uno dei ragionatori più sottili del nostro tempo, egli vive da trent'anni nell'ombra di un Museo d'Antropologia, conosciuto da pochi e da pochissimi ammirato.
Ha il torto, gravissimo, imperdonabile, ingenuo, di non essersi mai fatto avanti, di non essersi battuto da sè il rumoroso tamburo della fama.
Mentre tanti con dieci fatti e un'idea fanno un libro, ha preferito di fare un articolo con dieci idee e cento fatti. Nel secolo XIX, ai primi del secolo XX, una simile mancanza di orgoglio e di coraggio, è un singolare fenomeno, una sopravvivenza miracolosa di altri tempi. Il Regàlia pretenderebbe forse che gli uomini conoscessero da sè, spontaneamente, il merito che si nasconde gelosamente tra le pareti di una collezione di scheletri o tra le pagine di riviste dimenticate?
È troppo fine per illudersi fino a questo segno. Bisogna dunque dire che si tratti di malattia innata, di atrofia completa del senso di se stesso, ch'è pur necessario aver grande per farsi grande.
Il Regàlia, ch'è psicologo, credo che sia cosciente di questa sua radicale infermità, e se gli altri non pensano a fargli un nome egli è ostinato a vivere tra le sue ossa, lungi dal mondo rumoroso del pensiero, in una calma tebaica, degna di un cenobiarca della scienza, di un eremita dell'osteologia. Ed è peccato, perchè il Regàlia è forse uno degli psicologi più originali che abbiamo in Italia, e se la sua opera psicologica fosse più nota di quello che non sia oggi, potrebbe fornire argomento a discussioni utili, tanto per il metodo che per i resultati della scienza mentale.
In venti anni, attraverso i suoi lavori di etnografia, di craniologia
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e di zoologia, egli ha trovato modo di pubblicare dodici scritti di psicologia, ove cí sono delle vedute nuove, delle analisi sottili, e, soprattutto delle critiche serrate. Perché, ed è per questo che noi giovani possiamo ammirarlo, questo mal noto scienziato è stato un precursore e un coraggioso. Egli ha combattuto contro mezzo mondo: collo Spencer e col Bain, coll'Ardigò e col Marchesini, col Wundt e col Sergi, col Pilo e col Vaccaro, col Lombroso e col Paulhan, coll'Irons e col Fouillée. In un tempo ìn cui imperava il positivismo nella sua forma più grossolana, egli ha professato apertamente la sua fede idealista (Non origine ma una legge negletta dei fenomeni psichici. Riv. di Fil. Scient., VI, (1887) p. 15 dell'estr.) ha criticato senza pietà il meccanismo biologico del confuso e contraddittorio Spencer (Sul concetto meccanico della vita. — Riv. di Fil. Scient. III, (1883) pp. 309-331), ha demolito quel corbello dì corbellerie ch'è il libro del Sergi sull'Origine dei fenomeni psichici, e non s'è vergognato di elevarsi a una concezione panpsichista del mondo, nella quale tutti i fenomeni son considerati effetto degli stati dolorosi degli atomi(1)
Infatti ciò che ha attirato questo antropologo nella psicologia, è stata la meditazione sul dolore. Si può dire anzi che la sua idea dominante è stata quella di stabilire, di enunciare e di rafforzare, una sua legge psicologica che si può formulare così: Il dolore è, l'antecedente costante e immediato dell'azione. Tutti i suoi scritti tendono a prepararla, ad aiutarla, a difenderla: è stato il grande sogno della sua vita di psicologo. Anche l'ultimo suo lavoro Se il piacere sia movente e l'emozione irreduttibile (in Archivio per l'Antrop. XXXII (1902) pp. 307-350) non è che una serie di risposte e di critiche, intente a salvare e a sorreggere la sua tesi prediletta. E poiché il Regàlia desidera che questa sua legge sia discussa ancora, gli presento qui alcune obiezioni alle quali avrei caro che rispondesse:
1) Molte volte l'azione è preceduta dal desiderio. Ora non sempre il desiderio è dolore. Anzi è piacevole quando è accompagnato dalla certezza di poterlo soddisfare.
2) La psiche è un tutto fuso, una corrente che pare di vario colore a seconda del punto di vista, ma contiene presenti, ogni momento, quegli elementi che nelle trattazioni di psicologia appaiono artificialmente isolati (rappresentazioni, sentimenti, ecc.). Non c'è dunque uno stato di puro dolore, ma il dolore è sempre accompagnato (la fatti rappresentativi, i quali sono anch'essi causa d'azione in quanto ci dicono cosa e come dobbiamo fare per toglierci il dolore, mentre questo da solo non potrebbe. Ne viene che il dolore non è mai il solo antecedente immediato dell'azione.
3) Certi stati di piacere (buone notizie, sorprese piacevoli ecc.) possono produrre movimenti (saltare, ballare, cantare), e d'altra parte certi stati di dolore (fatica, scoraggiamento) producono l'assenza dell'azione (il riposo e l'inazione).
4) Molte volte si agisce per passare da una specie di piacere a un piacere diverso. Quando io passo dalla lettura di un bel romanzo a una passeggiata in campagna non c'è fra mezzo uno stato di dolore. Così pure quando passo da uno stato di desiderio con immaginazione della cosa desiderata al possesso della cosa stessa.
Il Regàlia, ch'è un logico fine, risponderà forse con facilità a queste obiezioni. Ma la logica, ch'è la sua grande arme, è pure la sua debolezza in psicologia. La psiche è il regno dell'illogico e volerci portare lo schematismo e l'astrazionismo dialettico è lo stesso che voler prendere una libellula delicata con delle reti da merluzzi. Sì va sempre più facendo strada il concetto di una psicologia, la quale, più che dividere e suddividere, che analizzare e classificare, tenda a rievocare la trama delicata e continua del fluire dello spirito (la mind-stream del James) tentando di cogliere le sfumature più lievi e più fuggevoli. Ma dovendo criticare coloro che hanno impiegato la logica comune nella psicologia, la logica serve a dimostrarne le contraddizioni e le confusioni. In questo é riuscito sommamente il Regàlia, il quale si può dire uno dei grandi distruttori delle amenità teleologiche e meccaniciste della psicologia associazionista e positivista. Di lui accetto completamente la parte distruttiva, ma esito un poco ad abbracciare interamente quella costruttiva. Può darsi che le sue ragioni riescano a vincere i miei dubbi. Ma certo i nostri due spiriti non potranno andare mai fraternamente, sulla medesima nave, spinti dal medesimo vento alla stessa riva. Al suo ideale dialettico, unitario, semplificatore mi piace opporre la mia concezione che tende alla riproduzione della vita, alla ricerca del particolare e dell'integrale. Ma è forse per questa profonda diversità ch'io l'amo e l'ammiro.
(1) Per ciò', malgrado la logica lucidità dei suoi scritti di psicologia, una recente commissione per un concorso universitario, di cui facevan parte due arcivescovi del positivismo italiano, Lombroso e Sergi, ha scritto che «le sue memorie mancano di quella chiarezza, che è indispensabile nella esposizione di tale materia»! ↑
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